Padre Andrea Dall’Asta: “Io, il sacerdote che confessa i gay dico alla Chiesa: è ora di accoglierli”

24 ottobre 2015
da www.repubblica.it

confessione

Il prete del centro gesuita San Fedele di Milano: “Li incontro spesso e non li ritengo diversi”

di ZITA DAZZI

MILANO – Non fa mistero padre Andrea Dall’Asta di essere il referente spirituale per un gran numero di omosessuali, che da anni frequentano il centro gesuita San Fedele con la certezza di sapersi accolti. Ed è proprio in virtù di questa consuetudine che il sacerdote  –  scrittore, saggista, critico d’arte, allievo e amico del cardinale Carlo Maria Martini – si sente di spendere parole chiare sulla necessità per la Chiesa di “non sottrarsi alle nuove sfide” poste da chi chiede lo stop all’omofobia da parte della Chiesa e di alcuni movimenti ecclesiali.

Il tema è stato posto in maniera eclatante anche dal monsignore polacco che ha fatto coming out presentando al mondo il suo compagno di vita. Che ne pensa?
“La decisione di denunciare pubblicamente la sua relazione omosessuale con un laico è stata decisamente inopportuna, soprattutto alla vigilia del Sinodo sulla famiglia. Essendo sacerdote, era tenuto alla promessa di celibato, indipendentemente dal fatto di essere omo o eterosessuale “.

Al di là dei modi e dei tempi, lo scopo di quell’outing era richiamare l’attenzione su uno dei temi tabù per la Chiesa: l’amore gay. Lo trova sbagliato?
“Monsignor Charamsa si è fatto paladino di una causa  –  quella della denuncia dell’omofobia degli ambienti ecclesiali e la rivendicazione dei diritti degli omosessuali – che ha creato grande confusione. Tuttavia alcune sue affermazioni – malamente poste – credo siano spunti interessanti che la Chiesa può difficilmente ignorare”.

Ci sono ancora autorevoli esponenti del mondo cattolico che considerano l’omosessualità una malattia da curare.
“La teoria di possibili terapie rivolte alle persone omosessuali, perché intraprendano un cammino di conversione all’eterosessualità, dovrà essere necessariamente soggetta a seri studi e approfondimenti”.

E poi?
“Mi pare più che mai urgente una profonda riflessione teologica e antropologica. Che cosa vuole dire amarsi secondo la propria natura? La Chiesa è chiamata a nuove sfide. Alcuni ambienti ecclesiali sono chiamati ad affrontare questi temi con maggiore serenità e apertura, superando la paura e la tentazione di rinchiudersi in posizioni di condanna e che chiedono invece studio, confronto e dialogo. Si tratta di affrontare i problemi con grande libertà, senza assumere posizioni d’intolleranza”.

Al San Fedele state ospitando una mostra sulla discriminazione degli omosessuali in Uganda.
“Abbiamo riflettuto sulla discriminazione in Uganda per denunciare tutte quelle situazioni in cui chi si macchia del “reato di omosessualità” è condannato e punito, fino all’impiccagione. È una mostra che parla di persone che chiedono di essere riconosciute nella propria umanità, nel loro diritto di “essere” se stesse, nella consapevolezza che non ci può essere costruzione di una società se non nel rispetto e nell’accoglienza delle differenze”.

Quanto ci vorrà perché la Chiesa italiana faccia un passo verso l’accoglienza delle coppie gay?
“Non bisogna confondere i diritti civili col matrimonio cristiano, posto in una visione di fede, che si contrae tra uomo e donna. Occorre che la Chiesa rifletta su cosa significhi accogliere nella propria comunità persone dello stesso sesso che si vogliono bene e che desiderino intraprendere un serio cammino cristiano. Se il Vangelo è rivolto a tutti, occorre dare risposte credibili”.

Cosa dovrebbe fare la Chiesa per liberarsi dai pregiudizi?
“Incontro spesso persone che si dichiarano omosessuali. Tuttavia, quando mi trovo di fronte a loro, non penso mai al fatto di essere con dei “diversi”. Sto semplicemente parlando con persone che vivono le loro aspirazioni e frustrazioni, i loro fallimenti e desideri, i problemi della loro vita quotidiana. Mi pongo una domanda: “In che modo la vita di questa persona può trovare un proprio compimento? Come può essere riconciliata con se stessa, con gli altri, per aprirsi al mondo e a Dio?”. Secondo questa preoccupazione, invito le persone a compiere un cammino di riflessione su se stessi e sul senso profondo della loro vita, indipendentemente dall’orientamento sessuale. È un compito al quale nessun uomo può sottrarsi”.

Non aiuta la contrarietà del mondo ecclesiale verso le scuole che fanno iniziative per educare al rispetto e per prevenire l’omofobia, attività bollate come “pro-gender”. Che fare?
“Credo che si affronti questo tema con grande e colpevole superficialità. Manca una formazione delle coscienze al rispetto delle persone, alle diversità di ciascuno. Ogni società ha sempre avuto bisogno di trovare capri espiatori. In questo senso, le persone omosessuali sono state più esposte di altre a discriminazioni e a violenze, pensiamo a quanto gli omosessuali hanno subito sotto la dittatura nazista”.

E oggi?
“Si fatica a porre l’interrogativo: come considerare l’amore omosessuale? Qual è il suo valore? Ha una sua legittimità o è semplicemente da condannare? E se ha un senso, come situarlo all’interno di una società? È un dibattito più aperto che mai, sia all’interno che all’esterno della Chiesa”.