Unioni civili. E adesso? Riflessione di mons. Giuseppe Trentin

2 marzo 2016
da La Difesa del Popolo, Giuseppe Trentin

Alla luce del vangelo ciò che veramente importa non è, almeno primariamente, la differenza di genere. E nemmeno la sterilità, l’infertilità, il fatto di ricorrere all’“utero in affitto”. Bensì il rispetto e l’amore reciproco, vissuti e praticati con generosità.

Unioni-civili.-E-adesso

Le unioni civili hanno superato al senato la prima tappa, la più difficile, del loro percorso parlamentare.
Matteo Renzi, che le ha fortemente volute, ha esultato: una pagina storica, ha vinto l’amore, ha commentato. Ora però il problema che attende quanti, dopo l’approvazione definitiva della camera, ne usufruiranno è da un punto di vista morale uno solo: il rispetto reciproco, la fedeltà quotidiana, l’educazione dei figli.
È vero che da un punto di vista giuridico, in base alla legge appena votata al senato, le coppie omosessuali, a differenza di quelle eterosessuali, non potranno adottare il figlio del partner. Ma è anche vero che molte coppie omosessuali i figli ce li hanno già. E in ogni caso nessuna legge potrà mai impedire a tali coppie di andare all’estero e mettere al mondo bambini.
La domanda che si pone è dunque: che ne sarà di loro? Quale destino attenderà questi bambini nel caso in cui venisse a mancare loro il padre o la madre biologica?

La questione adozioni, come si può intuire, rimane aperta e attende una soluzione che rispetti anche il diritto dei bambini a non venire abbandonati.
Magari dopo essere vissuti per lunghi anni con un padre o una madre che pur non avendo potuto adottarli li ha amati, accuditi, educati, in una parola ha voluto e fatto loro del bene.
La legge, allo stato attuale delle cose, non risolve il problema, almeno per quanto riguarda i bambini. Tanto più se la si valuta a partire da una concezione personalistica e relazionale della sessualità, del matrimonio e della famiglia che anche la chiesa condivide. E che – sarà bene precisarlo – non solo non compromette, e tanto meno nega, il valore della procreazione, ma semmai lo illumina, lo rafforza, lo alimenta, collocandolo all’interno di un contesto personalistico e relazionale più libero e responsabile, più attento al bene dei figli.

Ciò premesso, si deve anche dire che l’imporsi di tale concezione mette in discussione nella teoria e nella pratica la normativa tradizionale della chiesa.
Non sarà inutile pertanto una chiarificazione. Essendo tale normativa ancora molto legata, almeno in linea di principio, alle direttive del magistero cattolico, il rischio che si corre è che quanti nel nostro paese la criticano finiscano per criticare, se non rifiutare, anche la fede.
Sarà bene allora precisare che la fede attinge a fonti diverse e più ricche di quelle cui attinge un discorso strettamente razionale, sia esso di natura politica, giuridica o morale. Ciò significa che nella misura in cui i cattolici affrontano discorsi di questo genere dovranno impegnarsi a discutere di più e meglio le loro tesi secondo la logica della ragione. Non pretendere di imporsi con un’autorità maggiore di quella che deriva loro dalla forza delle ragioni addotte.
Il fatto poi che l’imporsi nella società, ma anche nella chiesa, di una nuova concezione della sessualità coinvolga e solleciti ripensamenti profondi della normativa tradizionale non dovrebbe stupire più di tanto. L’intera storia della tradizione cristiana può essere vista e interpretata come uno sforzo permanente di rispondere, in modo più o meno adeguato, alle istanze poste dal mutare della cultura e del costume in sintonia con lo “spirito” del tempo, oltre che del dettame biblico, rivisitato e interpretato alla luce della storia e dei valori di volta in volta emergenti.
Il rischio che si corre in operazioni del genere, oggi come in passato, è che ripensamenti in questioni delicate come quella sessuale, cui è inevitabilmente connesso un alto contenuto emotivo, possano apparire “erronei” o “pericolosi” solo perché si discostano da un’impostazione tradizionale cui si è abituati.

La reazione emotiva, per quanto coperta da razionalizzazioni apparentemente corrette, può scatenare rifiuti aprioristici, senza fondamento.
L’inevitabile novità di ogni ripensamento può infatti indurre molti cattolici a vivere, e in parte anche teorizzare, il cambiamento come destrutturazione dell’intero impianto esistenziale del credente. La storia ci offre numerosi esempi al riguardo sui quali non indugio.
M’interessa maggiormente richiamare il fatto che alla luce del vangelo ciò che veramente importa ed è moralmente rilevante non è, almeno primariamente, la differenza di genere, che pure esiste. E nemmeno la sterilità, l’infertilità, il fatto di ricorrere all’“utero in affitto”, che pone altri problemi. Bensì il rispetto e l’amore reciproco, vissuti e praticati con generosità, ma anche con imparzialità e correttezza, sia nei confronti di sé che degli altri. E dunque senza discriminazioni o prese di posizione ideologiche o ingiustificate.