I cristiani LGBT in Italia. I numeri del Rapporto 2016

crstianilgbt

11 ottobre 2016
dal portale gionata.org

Articolo di Giampaolo Petrucci pubblicato su Adista Notizie n° 35 del 15 ottobre 2016, pp.6-7

Uno studio dettagliato e illuminante il Rapporto sui cristiani Lgbt, giunto in questo 2016 alla sua terza edizione e diffuso lo scorso 30 settembre dal Forum del Cristiani Lgbt, la rete informale che dal 2009 promuove l’incontro, il confronto e il collegamento tra persone e gruppi di omosessuali credenti sparsi lungo tutto lo Stivale.
Inaugurato nel 2010 in occasione dell’incontro nazionale del Forum, il Rapporto 2016 indaga 21 dei 28 gruppi e associazioni che raccolgono credenti omosessuali in tutta Italia, fornendo le cifre (età, sesso, numero dei partecipanti) di una realtà spesso frammentata e poco nota, in un passato nemmeno troppo lontano costretta alle “catacombe” dall’indifferenza e dalle resistenze del mondo cristiano, e raccontando gli attuali percorsi di accoglienza e inclusione sperimentati dai gay credenti nel contesto religioso e nella società italiana.
«Il Rapporto 2016 – scrive la curatrice Giuliana Arnone (dottoranda della Scuola Superiore di Studi Storici Geografici e Antropologici dell’Università di Padova) nell’introduzione – è principalmente un tentativo di mettere in luce le continue negoziazioni, la riconciliazione con se stessi e con le Chiese, ed anche le reti che in questi trent’anni sono state pazientemente tessute dei cristiani Lgbt».

Dalla prima grande ricerca sui gay credenti in Italia – quella lanciata nel 1982 da Rocca, rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi – di acqua sotto i ponti ne è passata molta, soprattutto per la Chiesa cattolica, la quale, sebbene ancora oggi debba fare i conti con i molti tabù culturali e con i muri eretti dal magistero che sembrano invalicabili, comincia a mostrare qui e lì qualche incoraggiante spazio di azione per i fedeli Lgbt.
In ogni caso, negli ultimi anni, «qualcosa di fondamentale è cambiato: il modo in cui le persone Lgbt cristiane percepiscono se stesse», afferma la curatrice. «Ciò che intendo dire è che hanno fatto un lungo percorso di accettazione di sé, della propria fede e della propria identità. L’essersi riconosciuti, l’essersi ritrovati, l’essersi uniti, ha permesso, certo tra tante difficoltà e sofferenze, di poter contribuire oggi al cambiamento delle Chiese».

La ricerca è stata condotta, a partire da febbraio 2016, con l’invio telematico di questionari ai membri dei gruppi di credenti omosessuali italiani e i risultati sono stati divulgati in anteprima nel corso del IV Forum dei Cristiani Lgbt di Albano Laziale (15-17 aprile 2016). L’indagine curata da Arnone rappresenta l’esito di un confronto serrato con i promotori del Forum e con altre figure di rilievo dell’associazionismo. Una sorta di “opera collettiva”, se non altro nella fase iniziale di progettazione, di definizione delle aree tematiche più rilevanti e nella fase di revisione del testo, che ha visto la partecipazione di diversi credenti omosessuali impegnati nell’associazionismo Lgbt.

I numeri

Dei gruppi che hanno risposto al questionario, 10 sono nel Nord, 6 nel Centro Italia e 4 nel Meridione. Una, infine, l’Associazione Fondo Samaria, ha sede a Milano ma ha vocazione nazionale, giacché è nata per sostenere progetti di crowdfunding e altre iniziative con l’obiettivo del superamento di ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

Il Rapporto sostiene che nel 2015 hanno partecipato alle attività dei gruppi raggiunti 531 persone, di cui l’80% uomini, il 18% donne e il 2% transessuali. Metà di loro sono di età compresa tra i 35 e i 50 anni, il 30% ha un’età maggiore e il 20% ha tra i 18 e i 35 anni.

Il 62% delle realtà coinvolte nella ricerca ha preferito non costituirsi in associazione ma restare un gruppo aperto e libero, più votato alla flessibilità che alla strutturazione, per rispondere così alle esigenze di un’organizzazione più orizzontale e meno verticistica, spontanea, aperta all’accoglienza e al passaggio. Il 19% dei gruppi si è invece costituito in associazione e questo, motivano, per assicurare maggiore stabilità, garantirsi un futuro più lungo ed essere più visibili e incisivi a livello sociale ed ecclesiale.

Le ragioni della partecipazione

Perché le persone Lgbt credenti aderiscono alle iniziative in campo? Secondo il Rapporto il 75% dei gruppi consultati lo fa principalmente per «trovare un posto in cui sentirsi accettati e accolti», mentre il 55% ritiene importante «coltivare amicizie profonde e durature». Incidere in profondità nella vita della Chiesa e della società, e sentirsi parte di una comunità cristiana, interessa poco al 50% dei gruppi. Chiarisce, in sintesi, la curatrice che «le motivazioni personali sono ritenute più importanti di quelle che spingono le persone a prendere parte ai gruppi per contribuire all’inclusione delle persone gay, lesbiche e trans all’interno della Chiesa».

Alla luce del sole?

Uno dei segnali più «confortanti» emersi in questo rapporto è il dato sull’ospitalità: sottolinea la curatrice che ben l’86% dei gruppi che ha risposto al questionario online è accolto in una comunità cattolica (67% in parrocchia, 19% in strutture di congregazioni religiose), a fronte di un 19% ospitato invece in luoghi di culto valdesi o metodisti. Un gruppo, il Bethel di Genova, si riunisce in una sala di un ente pubblico; il gruppo più “antico”, Il Guado di Milano, ha una propria sede; altri due gruppi si ritrovano in locali privati. Incoraggiante anche il dato sulla partecipazione alla vita delle comunità cattoliche: in 14 di queste le attività dei gruppi Lgbt sono note ai fedeli; gli omosessuali ospitati in parrocchia generalmente partecipano anche alle attività promosse a livello comunitario, come la liturgia, il coro domenicale, la Caritas, il volontariato per i poveri. In cinque parrocchie, poi, un membro dei gruppi Lgbt credenti rappresenta gli stessi in Consiglio pastorale parrocchiale.
Il canale privilegiato per l’accoglienza sembra essere quello della conoscenza diretta di parroci, vescovi, religiosi e pastori vicini alle persone omosessuali e sensibili alla loro condizione di “fedeli esclusi”. Ed è proprio, forse, questa condizione di marginalità nella comunità cattolica la ragione per cui, sebbene ospitati in una parrocchia o struttura religiosa cattolica, il 48% degli intervistati preferisce definirsi con il termine più inclusivo di “cristiano” o, in alcuni singoli casi, “credente”.

“Effetto Francesco” sì, ma dal basso

L’ascesa di papa Francesco al soglio pontificio, nonostante le aspettative di riforma auspicate dalla base, per il 38% dei fedeli gay intervistati non ha cambiato nulla nel rapporto con la Chiesa cattolica; e il 28% di loro ritiene che si possa tranquillamente affermare lo stesso riguardo al rapporto con i propri vescovi. Solo il 10% sostiene che ci sia stato qualche cambiamento a Roma e nelle diocesi, e un 14% che il processo di innovazione prescinda da Francesco. Insomma, ribadisce il Rapporto, le aperture della Chiesa alle realtà Lgbt credenti, quando ci sono, nascono dal basso, dalle singole realtà locali, e non dalle gerarchie, ancora arroccate su una dottrina rigida e raramente messa in discussione.
L’accresciuto interesse delle comunità locali alle realtà gay credenti è dimostrato anche dall’incontro e dal dialogo instaurato con esse: parrocchie e gruppi scout invitano rappresentanti dei gruppi Lgbt a confrontarsi con loro.

In conclusione

Scrive Arnone nella conclusione: «Il rapporto mette in evidenza una profonda interazione con il contesto d’appartenenza cittadina. Le diverse realtà di cristiani Lgbt cercano principalmente un dialogo che parte “dal basso”, dalle piccole realtà, dalle persone “in carne ed ossa” più che dall’istituzione ecclesiastica». È questa la ragione per cui l’incontro e l’accoglienza non hanno ancora un fondamento istituzionale organico ma, in maniera frammentata ed eterogenea nel Paese, rispecchiano le relazioni intercorse a livello locale, dove «l’inclusione delle persone Lgbt cristiane è sempre dunque costantemente negoziata e ridefinita».
Ogni gruppo ha una storia e un’esperienza a sé stante e questo è una «ricchezza», afferma ancora la curatrice. A livello nazionale, però, «dobbiamo rilevare che questo è un movimento in costante crescita che sta prendendo piede in seno alla comunità ecclesiale e rappresenta una realtà viva fonte di “contraddizione” nella Chiesa e nell’arena pubblica, cosa che spinge le comunità cristiane a doversi confrontare con loro».